Hai presente le classiche pubblicità sull’8×1000? Spesso, diciamocelo, si somigliano un po’ tutte: un elenco più o meno toccante di buone azioni, immagini studiate per commuovere e l’invito, a volte un po’ pressante, a destinare la propria quota. Funzionano? Forse. Ma ti restano davvero impresse? Ti fanno sentire parte di qualcosa? Ho i miei dubbi.
Poi, un giorno, senti uno spot che ti fa drizzare le orecchie (o sgranare gli occhi). Come quello dell’Unione Buddhista Italiana. Non l’hai visto o sentito? Te lo racconto in due parole, perché merita. In sostanza, dicono che con quello che già raccolgono dall’8×1000 – che per loro, ammettono candidamente, è come “un dito” – riescono a fare un sacco di cose belle e utili. E poi arriva la domanda, disarmante nella sua semplicità e potenza: “Immagina cosa potremmo fare insieme se al posto di un dito avessimo una mano intera. O due.” Geniale. E te lo dico da professionista che da oltre 15 anni lavora proprio su come far passare messaggi chiari e memorabili.
Dal “Dacci i soldi” al “Guarda cosa possiamo costruire insieme”
Questo approccio, amici miei, non è solo un modo carino per chiedere fondi. Ribalta completamente il tavolo della comunicazione per almeno tre motivi fondamentali, che vedo fare la differenza ogni volta che un cliente ha il coraggio di adottarli:
- La metafora che illumina
Il “dito” rende immediatamente l’idea della situazione di partenza: risorse limitate, ma usate con intelligenza ed efficacia. La “mano” (o le “due mani”) spalanca una visione di potenziale enorme, concreto, raggiungibile. È un’immagine che ti si pianta in testa, facile da ricordare. Niente percentuali astruse, niente cifre da capogiro che dopo due secondi hai già dimenticato. Quante volte mi trovo a dire ai clienti: “Smettiamola di parlare il linguaggio tecnico che capite solo voi! Troviamo un’immagine, una storia semplice che arrivi dritta al punto.” Ecco, questo è un esempio da manuale. - L’onestà che crea fiducia (quella vera)
Ammettere di ricevere “solo un dito” è un atto di trasparenza che spiazza e, per questo, conquista. Non si autoincensano con risultati mirabolanti ottenuti chissà come, ma ti mostrano l’impatto reale che riescono ad avere nonostante le risorse limitate. E questo, credimi, rende la promessa di cosa potrebbero fare con “una mano intera” incredibilmente più credibile. È il classico “mostra, non dire” elevato all’ennesima potenza. - Il coinvolgimento che trasforma
Invece del solito, un po’ passivo, “aiutaci”, ti dicono “immagina con noi”. Capisci la differenza abissale? Spostano il focus dalla semplice donazione (o dall’acquisto, se parliamo di un’azienda) a una partecipazione attiva, a un progetto comune di cui anche tu puoi sentirti protagonista. Non sei più solo uno che “dà” o “compra”, diventi parte di una crescita, di un potenziale che si svela grazie anche al tuo contributo.
Questo spot non ti fa sentire in colpa se non doni. Non ti fa la paternale. Ti strappa un sorriso, ti fa riflettere e, cosa più importante, ti fa percepire con chiarezza la differenza che il tuo gesto (anche piccolo) può fare, e quanto di più si potrebbe realizzare insieme. È un invito elegante, non una richiesta petulante.
“Sì Luca, bello lo spot dei Buddisti. Ma io vendo software/consulenze/pomodori. Che c’entra con me?”
C’entra. Eccome se c’entra. Quante volte la comunicazione di un brand – che sia una multinazionale o il freelance della porta accanto – si riduce a un arido elenco di caratteristiche del prodotto, a una lista di servizi, o a un laconico (e spesso inefficace) “compra ora”? Troppe. È un errore che vedo fare di continuo, ed è un’occasione persa enorme.
Invece, potremmo iniziare a farci le domande giuste, quelle che mi trovo spesso a fare io per primo quando aiuto un’azienda a definire la sua strategia di comunicazione:
- Qual è il nostro “dito”? Ovvero: cosa facciamo già di straordinariamente buono, anche con le risorse che abbiamo ora, che ci rende davvero orgogliosi e, soprattutto, utili e preziosi per i nostri clienti? Qual è quel valore tangibile che già offriamo?
- E qual è la nostra “mano intera” (o le nostre “due mani”)? Qual è la visione più grande, l’ambizione che ci guida? Dove potremmo arrivare, cosa potremmo realizzare di ancora più impattante insieme ai nostri clienti, se ci concedessero più fiducia, se investissero di più su di noi, se la collaborazione diventasse più profonda?
- Come possiamo raccontare questo potenziale in modo semplice, onesto e coinvolgente, proprio come hanno fatto i Buddisti con la loro metafora, trasformando una “richiesta” in una “proposta di visione condivisa”?
Trovare queste risposte non è un esercizio di stile, è il cuore di una strategia di branding che funziona. È passare dal vendere un prodotto all’offrire una partnership.
Pensaci un attimo. Magari la tua prossima campagna, il tuo prossimo post sul blog, la tua prossima presentazione in pubblico potrebbero smettere di “chiedere attenzione” o “elemosinare un acquisto” e iniziare finalmente a “mostrare cosa è possibile fare insieme”. Potrebbe essere la svolta per distinguerti davvero dalla massa e diventare una scelta chiara, sentita, quasi ovvia. Perché alla fine, che tu stia cercando di vendere software gestionali, consulenze strategiche, marmellate artigianali o di promuovere una causa benefica, stai sempre chiedendo alle persone di credere in qualcosa. La metafora del dito e della mano è un piccolo, geniale, capolavoro di come si costruisce questa fiducia.
E tu? Ti è mai capitato di incrociare una comunicazione così illuminante da farti cambiare prospettiva su un brand o un’idea? O forse, stai cercando di capire come trasformare il “dito” della tua attività in una “mano intera” capace di fare grandi cose? Se vuoi capire come trovare la tua metafora e comunicare la tua visione, parliamone. A volte, basta cambiare prospettiva (e parole) per aprire mondi interi.