Cosa succede quando un brand che ha costruito un impero sul colore, la fantasia e la creatività decide di vestirsi di nero? LEGO sta provando a dare una risposta, e la sua community di fan più fedeli non è per niente convinta.
La recente mossa dell’azienda danese di unificare la sua offerta per adulti sotto una nuova, unica identità visiva è un caso di studio perfetto. Non si tratta di una semplice scelta di design, ma di una scommessa strategica che mette a nudo uno dei dilemmi più classici del marketing: la crescita verso un nuovo pubblico vale il rischio di scontentare i propri fan più leali?
La strategia “nera” di LEGO
Vediamo i fatti. Per anni, i set LEGO destinati a un pubblico adulto erano frammentati in varie linee: Creator Expert, Ideas, Technic, Star Wars UCS. Ognuna con un suo logo, una sua identità e un packaging che raccontava la storia specifica di quel set.
Ora, tutto questo è stato consolidato sotto un unico brand-ombrello: LEGO Icons. E con esso, è arrivato un packaging unico per tutti: una scatola minimalista, elegante, totalmente nera.
La motivazione ufficiale di LEGO è chiara e, dal punto di vista del business, impeccabile: semplificare l’esperienza d’acquisto per i nuovi consumatori adulti, creare un’identità visiva “premium” e dare coerenza all’offerta a scaffale. In teoria, un’operazione di rebranding da manuale.
La voce dei fan: la perdita dell’anima e l’accusa di “Blanding”
La reazione della community di AFOL (Adult Fans of LEGO), però, è stata tutt’altro che positiva. Le critiche non sono un semplice lamento nostalgico, ma toccano punti nevralgici della strategia di brand.
- Perdita di personalità. Le vecchie scatole erano parte dell’esperienza. Lo sfondo di un’astronave in battaglia o il logo dorato di un set celebrativo non erano solo decorazioni, ma narrazione. Le nuove scatole nere sono percepite come sterili, senz’anima, incapaci di comunicare la magia e l’unicità del contenuto.
- L’accusa di “Blanding”. Questa mossa è vista come l’ennesimo esempio di blanding (da “brand” + “bland”, insipido). Quel trend di design che, nel tentativo di apparire “sofisticato” e “minimale”, porta i brand a diventare visivamente indistinguibili, perdendo ogni carattere. LEGO, il brand anti-noia per eccellenza, viene accusato di essere diventato noioso.
- Dissonanza Cognitiva. Il punto più critico è il contrasto tra il contenitore e il contenuto. Una scatola seria, scura e minimale che racchiude un prodotto colorato, giocoso e traboccante di creatività. Per molti fan, questa non è coerenza, è una contraddizione che tradisce lo spirito più profondo del brand: il gioco.
Il dilemma strategico: cliente nuovo vs. fan fedele
Qui arriviamo al cuore dell’analisi strategica. La scelta di LEGO non è un errore, ma una decisione deliberata che rivela una chiara gerarchia di priorità.
È una mossa pensata per il nuovo cliente adulto, il “turista” del mondo LEGO. Quella persona che entra in un negozio cercando un regalo o un hobby rilassante, e che potrebbe sentirsi intimidita da un’offerta troppo complessa e “giocattolosa”. Per lui, una parete di scatole nere, eleganti e coerenti comunica ordine, chiarezza e status “premium”. Semplifica la scelta e abbassa la barriera all’ingresso.
Questa scelta, però, avviene a scapito della community di fan storici. Quegli appassionati che conoscono ogni linea, che comprano decine di set all’anno e che alimentano l’ecosistema del brand con la loro passione. Loro si sentono messi in secondo piano, se non traditi. La semplificazione che aiuta il neofita, per loro è una banalizzazione che ignora la loro competenza e il loro amore per la “lore” del brand.
LEGO sta scommettendo che i benefici derivanti dall’acquisizione di un mercato di massa adulto superino i rischi legati al malcontento della sua nicchia più fedele. Una scommessa audace.
Il caso LEGO Icons non riguarda solo delle scatole nere. Riguarda una domanda che ogni brand di successo, prima o poi, deve affrontare. Arrivati a un certo punto, è più importante semplificare per crescere ancora, rischiando di omologarsi? O è meglio proteggere quella complessità, quella ricchezza di dettagli e quella cultura di nicchia che ti hanno reso grande e amato in primo luogo?
La risposta, come sempre nel nostro lavoro, non è mai semplice.