Perché Axe ha prodotto una bomboletta “brutta”?

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La nuova bomboletta di Axe

Immagina di essere il capo marketing di un brand globale e che una creator su TikTok con milioni di follower ridisegni il tuo logo in modo volutamente brutto, quasi amatoriale. Il video diventa virale. La reazione istintiva della maggior parte delle aziende sarebbe di ignorarlo, o nel peggiore dei casi, di vederlo come un danno d’immagine. Axe ha fatto l’esatto opposto: ha nominato la creator suo “Big Boss” e ha prodotto e venduto davvero quella bomboletta “brutta”.

Quella che sembra una follia, una mossa quasi suicida per un brand che investe milioni in brand identity, è in realtà una delle lezioni di marketing più interessanti degli ultimi anni. Non si tratta di semplice “social listening”, un termine ormai abusato e svuotato di significato. Si tratta di una strategia sofisticata, coraggiosa e profondamente attuale che possiamo definire “Branding Inverso”: l’arte di cedere il controllo creativo per guadagnare rilevanza culturale.

La cronaca di una “resa” strategica

Tutto ha inizio con Emily Zugay, una graphic designer diventata una star su TikTok per il suo format geniale: ridisegnare i loghi di brand famosi con uno stile impassibile, surreale e volutamente minimale, quasi infantile. A luglio, prende di mira Axe. Nel suo video, svela un nuovo logo per il deodorante: una bomboletta bianca con sopra la clip art di un’ascia. Nient’altro. Con la sua tipica e serissima ironia, dichiara che questo nuovo look serve perché Axe “non è stato creato per i ragazzini negli spogliatoi delle scuole medie, ma per gli uomini”.

Il video esplode, superando i 5 milioni di visualizzazioni e raccogliendo un plebiscito di commenti entusiasti. È qui che il team di Axe compie la sua mossa geniale, dimostrando una comprensione della cultura digitale che va ben oltre il monitoraggio dei dati. Come ha dichiarato Dolores Assalini, Head of Axe U.S., “La reazione dei nostri fan è stata forte e chiara. Volevano il nuovo logo, e noi abbiamo ascoltato”.

La velocità della reazione è la prima lezione di questa operazione. Entro 24 ore, Axe pubblica sui social un mockup della bomboletta con il design di Zugay. Ma non si limita a partecipare al meme. Lo trasforma in una campagna strutturata: nomina la designer “Big Boss” del brand in una serie di post e, mossa finale che sposta tutto da scherzo a strategia, produce realmente una limited edition di quella bomboletta e la mette in vendita sul sito di Walmart.

Il “Branding Inverso”: quando cedere il controllo è la mossa vincente

Il processo di branding tradizionale è sempre stato top-down: l’azienda crea, l’agenzia raffina, il pubblico consuma. È un processo chiuso, controllato, basato sull’assunto che il brand “sappia” cosa è meglio per il suo pubblico. Il “Branding Inverso” ribalta completamente questo paradigma, seguendo un flusso bottom-up: l’idea nasce e viene validata spontaneamente nella community, e il brand interviene solo alla fine, non come creatore, ma come produttore esecutivo e amplificatore.

Questa strategia è valida per tre ragioni fondamentali.

La prima è il guadagno immenso di rilevanza culturale. Nel momento in cui Axe accetta lo scherzo e lo trasforma in un prodotto, dimostra di “aver capito la battuta” (gets the joke). Nell’economia culturale di internet, questa è la moneta di scambio più preziosa. Dimostra un’intelligenza e un’autoironia che la perfezione patinata della pubblicità tradizionale non potrà mai eguagliare. Come ha affermato la stessa Zugay, “i brand che non si prendono troppo sul serio […] si connettono davvero con le persone oggi”.

La seconda è la trasformazione dell’engagement in co-creazione reale. Come ha sottolineato Assalini, “I ragazzi di oggi non vogliono solo che gli si parli. Vogliono sentire di essere parte del processo di creazione dei brand”. Questa non è la finta co-creazione di un sondaggio online. È un atto tangibile che comunica rispetto e fiducia, costruendo una lealtà molto più profonda. Si crea un senso di ownership: quella bomboletta non è più “la bomboletta di Axe”, ma “la bomboletta che noi, la community, abbiamo fatto creare”.

La terza, infine, è l’intelligenza dell’anti-perfezionismo. La bomboletta di Emily Zugay è deliberatamente “brutta”, minimale, quasi amatoriale. In un mondo saturo di immagini perfette e loghi iper-progettati, l’imperfezione diventa un elemento di rottura e di autenticità. Un brand globale che ha il coraggio di mettere sugli scaffali un prodotto che fa a pugni con ogni regola della brand identity tradizionale, sta comunicando una profonda fiducia in sé stesso. Sta dicendo: “Il nostro brand è così forte e la nostra relazione con voi è così solida, che possiamo permetterci di giocare”.

Le due vie dell’autenticità (Axe vs. Domino’s)

Questa strategia di Axe è tanto più interessante se la mettiamo a confronto con l’analisi che abbiamo fatto in precedenza sul caso Domino’s. Insieme, questi due casi ci raccontano una storia importantissima sul futuro del branding.

Lì avevamo parlato di “Branding Estrattivo”: l’arte di trovare il valore scavando all’interno del proprio DNA. Domino’s, per il suo refresh, ha “estratto” un suono che era sempre stato lì, il “mmm” di “Do-mmm-ino’s”, trasformandolo nel suo nuovo simbolo, il “cravemark”. È stata una strategia introspettiva, basata sulla scoperta di una verità interna e autentica.

Oggi, Axe ci mostra la via complementare, quasi speculare: il “Branding Inverso”. Se Domino’s ha trovato il suo valore guardando all’interno, Axe lo ha trovato guardando all’esterno. Non ha scavato nel proprio archivio, ha aperto le finestre e ha ascoltato ciò che la sua community stava creando.

Questi due casi ci mostrano che le due vie maestre per l’autenticità nel marketing moderno sono:

  1. L’introspezione (la via di Domino’s): Conoscere così a fondo il proprio DNA da trovare tesori nascosti che nessun altro vede, e avere il coraggio di metterli al centro della propria identità. Richiede una profonda auto-consapevolezza.
  2. La resa (la via di Axe): Avere una tale fiducia nel proprio brand e una tale comprensione della propria community da poter cedere il controllo, lasciando che siano gli altri a definire un pezzo della tua identità, e avere la rapidità di trasformare quel momento culturale in un asset di marca. Richiede una profonda consapevolezza culturale.

Entrambe le strategie rifiutano il vecchio modello del marketing, basato sull’invenzione di storie artificiali e sulla comunicazione top-down. Entrambe si ancorano a una forma di verità: una verità interna, storica, per Domino’s; una verità esterna, culturale, per Axe. La lezione per ogni brand, personale o aziendale, è che oggi non basta più avere una voce forte. Bisogna anche avere un udito eccezionale e la capacità di riconoscere il valore quando si manifesta, da qualunque parte provenga.

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