Nelle ultime settimane, abbiamo analizzato a fondo quello che consideriamo un colossale autogol strategico: la campagna natalizia 2025 di Coca Cola. Abbiamo visto come l’ossessione per il “Teatro dell’Innovazione”, usando l’IA Generativa a tutti i costi, abbia creato un cortocircuito insanabile con il claim storico del brand, “Real Magic”.
Quel cortocircuito ha trovato un simbolo perfetto, quasi comico, nel fallimento tecnicodell’iconico camion di Natale.
Oggi, però, non siamo qui per infierire. Siamo qui per mettere in scena lo sfidante. Un brand che, di fronte allo stesso obiettivo (comunicare calore e magia a Natale), ha scelto la strada diametralmente opposta.
Niente IA Generativa. Niente velocità. Niente efficienza algoritmica. Solo fango, plastilina, pazienza e un’artigianalità meticolosa.
Questa è l’analisi dello spot di Natale di Barbour, realizzato in collaborazione con Aardman (lo studio di Wallace & Gromit). Ed è, a nostro avviso, una lezione di strategia che Coca Cola, e molti altri, hanno disperatamente bisogno di imparare.
Il cortocircuito: “Real Magic” contro “Teatro dell’Innovazione”
Per capire perché la mossa di Barbour è così intelligente, dobbiamo prima fissare i termini del fallimento di Coca Cola.
Il problema di Coca Cola non è stato “fare uno spot brutto”. Il problema è stato uno scollamento totale tra il messaggio e il mezzo.
- Il messaggio (il contenuto): “Real Magic”. Un posizionamento che evoca calore umano, connessione, perfezione emotiva, ricordi, artigianalità del sentimento.
- Il mezzo (il contenitore): IA Generativa. Una tecnologia che, nella percezione comune attuale, evoca artificialità, freddezza, simulazione, “non-umano”.
Il mezzo ha divorato il messaggio. L’ossessione per il contenitore (l’IA) ha distrutto il contenuto (la magia). La prova? Le ruote strambe, lo scoiattolo senza coda, i camion ad assetto variabile. Un’imperfezione fredda, un bug tecnico, che ha rotto l’illusione e ha ricordato a tutti che stavano guardando una simulazione senz’anima.
Ora, guardiamo a Barbour.
Anche il brand britannico “heritage” ha un posizionamento simile. Parla di calore, famiglia, tradizione, “great British countryside”. È un brand radicato nell’autenticità e nell’artigianalità. Come ha scelto di comunicare questi valori?
Ignorando il trend globale della GenAI e scegliendo una delle tecniche più antiche, lente e indiscutibilmente umane che esistano: lo stop-motion.
Questa non è una scelta “creativa”. È una dichiarazione di intenti strategica.
Laddove Coca Cola ha scelto la velocità algoritmica, Barbour ha scelto la pazienza umana. Laddove Coca Cola ha prodotto un’artificialità fredda, Barbour ha scelto di infondere “amore, artigianalità, calore e umorismo”.
L’elogio dell’artigianalità (e dell’imperfezione calda)
La campagna di Barbour non funziona “nonostante” sia in stop-motion nel 2025. Funziona perché è in stop-motion.
Il principio “prima il contenuto, poi il contenitore” qui trova la sua massima espressione.
Il contenuto di Barbour è il “craft”, l’artigianalità, il calore. Il contenitore (lo stop-motion di Aardman) non è solo un modo per raccontare quel valore: ne è l’incarnazione fisica. Barbour non ha bisogno di dire di essere “autentica” o “meticolosa”; ce lo dimostra. Ogni singolo fotogramma trasuda ore di lavoro umano, la passione degli animatori, la fisicità della plastilina.
Il mezzo amplifica il messaggio, invece di distruggerlo.
Questa è la stessa filosofia che sta alla base di un personal branding strategico: definire la propria voce unica, la propria USP (Unique Selling Proposition) e costruire una comunicazione che sia l’estensione coerente e autentica di quell’identità. Barbour sa chi è e non ha bisogno di fingere di essere qualcun altro (come un’azienda tech) per sembrare moderna.
La scelta di Wallace & Gromit è un altro colpo da maestri. Come dice il loro creatore, Nick Park, i due personaggi “incarnano calore, eccentricità e il fascino britannico per antonomasia”. Sono, in pratica, l’avatar perfetto del brand Barbour.
L’imperfezione calda contro il bug freddo
Ma il dettaglio più profondo, il vero punto di svolta, è il confronto tra le imperfezioni dei due spot.
Coca Cola ci ha dato un’imperfezione fredda: le ruote “wonky”. È un bug tecnico, un errore dell’algoritmo. È un artefatto digitale che rompe l’illusione, genera distacco e ci fa dire: “Ah, è finto”.
Barbour cosa ci dà? Ce lo dice lo stesso Nick Park: ci dà il “Gift-o-matic”, una classica invenzione di Wallace che è “brillante, ma con qualche intoppo”.
Questa, signori, è l’imperfezione calda.
L’intoppo, l’errore, il gadget che non funziona perfettamente, è un elemento narrativo voluto. È umano. È ciò che definisce la genialità imperfetta di Wallace. È ciò che ci fa sorridere e provare empatia. L’imperfezione di Barbour è una scelta di storytelling che genera calore e connessione.
Il “Gift-o-matic” che sbanda è “Real Magic”. Le ruote che slittano sono solo un bug.
Il pubblico perdona, anzi, ama, un’imperfezione calda, perché ci si riconosce. Ma non perdona un’imperfezione fredda, perché la percepisce come pigrizia, o peggio, come una presa in giro.
I valori della fabbrica contro la bottega artigiana
Il confronto diventa ancora più impietoso se guardiamo al “making of” che Coca Cola ha rilasciato per giustificare il suo spot. Un video, anch’esso fatto con IA (voci sintetiche, script generati), in cui si nascondono gli “oltre 100 artisti e ingegneri” che ci hanno lavorato.
Coca Cola ha avuto vergogna del “craft” umano.
Le metriche che ha celebrato nel suo making of sono: “velocità” (“30 giorni”), “efficienza” (“5 specialisti”), “produttività” (“70.000 clip”). Questi sono i valori di una fabbrica, non della “Real Magic”.
Il comunicato di Aardman e Barbour, al contrario, celebra: “amore, artigianalità, calore e umorismo”.
Sono due universi di valori opposti. Da un lato, la fabbrica. Dall’altro, la bottega artigiana. E a Natale, nessuno vuole un regalo fatto in una fabbrica senz’anima. Tutti vogliamo il regalo impacchettato con cura, magari con una piega imperfetta, ma fatto con amore.
La vera lezione: la coerenza batte l’innovazione (fine a se stessa)
Arriviamo al cuore della lezione strategica. Abbiamo assistito per mesi all’ubriacatura collettiva per l’IA Generativa. Ogni brand si è sentito in dovere di “fare qualcosa con l’IA”, spesso senza la minima idea del perché strategico.
Coca Cola è la vittima più illustre di questa ubriacatura. È caduta nella trappola del “Teatro dell’Innovazione”.
Il “Teatro dell’Innovazione” è quell’atteggiamento per cui un brand usa una tecnologia non perché sia utile al suo messaggio, ma solo per sembrare moderno. È mettere la tecnologia davanti al pubblico e il mezzo davanti al messaggio. E quando succede, il fallimento è garantito.
Il problema non è l’IA in sé. Lo strumento non è mai “il male”. Il problema è l’applicazione.
Usare uno strumento percepito come artificiale e freddo per veicolare un messaggio di calore umano e magia reale è un controsenso strategico. È come cercare di vendere il silenzio usando un martello pneumatico.
Barbour cosa ci insegna? Ci insegna il coraggio della coerenza.
In un momento in cui tutti correvano verso l’IA, Barbour ha avuto l’intelligenza di fermarsi e chiedersi: “Questo strumento serve al mio messaggio? È coerente con i miei valori?”. La risposta è stata un sonoro “No”.
E hanno avuto il coraggio di scegliere un mezzo “vecchio” di decenni, lo stop-motion, che però era perfetto per il loro messaggio.
Il paradosso è che, facendo così, Barbour risulta infinitamente più coraggiosa, più autentica e persino più innovativa di Coca Cola. La vera innovazione, oggi, non è seguire il gregge e usare l’ultimo tool scintillante. La vera innovazione è avere il coraggio di usare lo strumento giusto, anche se è un pezzo di plastilina, per creare una connessione emotiva reale con il proprio pubblico.
Chi ha vinto (davvero) il Natale?
Mettiamo i due spot sul tavolo.
Da un lato, Coca Cola: budget multimilionario, la tecnologia più avanzata, e il risultato è un camion con le ruote “storte”, simbolo di un’innovazione senz’anima, tecnicamente fallata, che ha tradito il cuore del brand.
Dall’altro, Barbour: un pezzo di plastilina mosso fotogramma per fotogramma. Un’invenzione (“Gift-o-matic”) che crea un “intoppo” voluto, un’imperfezione calda che genera un sorriso e rafforza il legame emotivo.
Chi ha vinto il Natale? Ha vinto chi è rimasto fedele a sé stesso.
Barbour ha capito che la “Real Magic” non è un effetto speciale generato da un prompt. La vera magia, nella comunicazione e nel branding, è un’emozione che nasce da una storia raccontata con onestà, e attraverso un mezzo che sia coerente con quella storia.
Barbour non ha solo fatto uno spot di Natale carino. Ha dato una lezione di strategia a Coca Cola. Ha rafforzato il suo brand, la sua identità e la sua promessa di valore. Coca Cola, nel tentativo di sembrare moderna, ha solo danneggiato la percezione del suo valore fondamentale.











